Qua da noi nell’estremo 
								Salento, una fermata prima dell’Africa, i paesi 
								sono attaccati uno all’altro.
Distano tra 
								loro solo pochi chilometri, ma il dialetto che 
								si parla in ognuno di loro è molto distante.
								Tra abitanti separati solo dal confine fisico, 
								spesso la differenza tra le parole è tanta da 
								non capirsi, ed è un continuo prendersi in giro.
								Ad esempio: per indicare la terrazza a Ruffano 
								si usa il termine "lamia", a pochi 
								chilometri "gliama", più in là 
								"jafu"; oppure per dire quello: a Ruffano
								"quiddhru" e a pochi chilometri 
								"chiru".
Quell’altro: a Ruffano 
								"quiddhrauthru" a pochi chilometri 
								"ddhroutru".
La patata a Ruffano 
								"pitata", a due chilometri di distanza 
								"patana".
Spesso, in passato, quando 
								frequentavamo la scuola superiore, dove ci si 
								trovava con i ragazzi dei diversi paesi, queste 
								differenze erano oggetto di scherno e 
								divertimento; oggi non più, peccato! Tutti 
								parliamo italiano.
Ormai gli anziani che 
								conoscevano e parlavano bene il dialetto non ci 
								sono più, purtroppo! Queste differenze, parlando 
								normalmente italiano, stanno scomparendo.
Noi 
								giovani generazioni tante parole dialettali non 
								le conosciamo proprio e tante le abbiamo 
								italianizzate; quindi parliamo un dialetto che 
								non è più l’originale. 
Da qui l’idea e la 
								voglia di lasciare questa piccola testimonianza 
								di Dialetto Ruffanese in modo che rimanga a 
								memoria per le generazioni future, che mai più 
								sentiranno parlare il dialetto del loro paese, 
								per quanto è nelle nostre possibilità, prima che 
								tutto venga perduto.
Vi lascio al vocabolario 
								con una frase della nonna che ha marchiato 
								indelebilmente la mia memoria: “vane su a 
								cunsola, pija a chiccara cu lu ngnuentu e 
								nnucima”.
Io a dieci anni, nel lontano 
								1973, figlia di emigranti in Svizzera, 
								che tornavo al paese in vacanza, abituata a 
								parlare solo italiano, a queste parole rimanevo 
								come un ebete a bocca aperta non comprendendo 
								cosa volesse da me la nonna.
“Mena vane e 
								bbeni, ca cci nciole!”
Aggiornato e corretto il 18/lug./2016 .
A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z
			acchiatura
			 – tesoro nascosto – 
			
			
			
...
			acciommu
			 – fradicio, ridotto male – 
			
			
			
...
			accquaesale
			 – panzanella
...
			acu
			 – ago – needle
...
			addhru
			 – dove
...
			addhrufilu
			 – per niente affatto
....
			addhruveddhri
			 – in nessun posto – 
			
			
			
...
			anchicammara
			 – gambe storte
...
			andita
			 – impalcatura
...
			andretula
			 – all'indietro
{ è catutu all'andretula }
			arbulu
			 – albero – tree
...
			arsu
			 – secco bruciato, desertificato
...
			asca
			 – pezzo di legna da ardere
...
			ascia
			 – fa niente
...
			asculiddhru
			 – piccolo pezzo di legna – 
			
			
			
...da Elio.
			ballanzarti
			 – saltimbanco
...da Antonella R.
			banca
			 – tavolo – table
...
			bbelinare
			 – arrabbiare | avvelenare
...
			beddhra
			 – bella
...
			binchiare
			 – saziare
...da Giulia M.
			bortacallu
			 – arancio – orange – 
			
			
			
...
			botta
			 – colpo
...da Rocco R.
			buatta
			 – scatoletta di conserva
...
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